Approvata dal parlamento Europeo la direttiva Case Green

Approvata dal parlamento Europeo la direttiva Case Green

La domanda e la preoccupazione degli italiani è cosa succederà per le loro case.

Quanti soldi dovranno  spendere per le ristrutturazioni e se, in caso diverso,  i loro immobili perderanno valore.

Nell’articolo pubblicato su Norme & Tributi  del Sole 24 Ore   si dà una prima risposta su un provvedimento frutto di una  ideologia eco/talebana.

Il provvedimento è frutto di scarsa conoscenza,   sia in materia di efficienza energetica che di politica economica,  contribuirà ad aumentare il fossato, già abbastanza largo, tra   corpo elettorale e rappresentanza politico-istituzionale.

La direttiva non tiene conto del fatto che in Italia vivono in condominio 44 milioni di abitanti e che ogni nazione/stato ha la sua specificità per quanto riguarda l’assetto urbanistico. È impossibile calare dall’alto provvedimenti che, neanche lontanamente, tengano conto dei diversi assetti normativi nazionali. 

Il Parlamento europeo, nonostante le molte critiche, ha approvato la direttiva sulle Case Green.

Il testo apporta poche e marginali modifiche alla bozza uscita dalla commissione, che aveva già sollevato numerose osservazioni critiche su norme non solo vessatorie, ma soprattutto poco efficaci in termini ambientali. Il provvedimento è frutto di scarsa conoscenza sia in materia di efficienza energetica che di politica economica e contribuirà ad aumentare il fossato, già abbastanza largo, tra corpo elettorale e rappresentanza politico-istituzionale.

La direttiva non tiene conto del fatto che in Italia vivono in condominio 44 milioni di abitanti e che ogni nazione/stato ha la sua specificità per quanto riguarda l’assetto urbanistico. È impossibile calare dall’alto provvedimenti che, neanche lontanamente, tengano conto dei diversi assetti normativi nazionali. L’istituto della proprietà e del condominio è regolato in modi sostanzialmente diversi nei vari paesi europei.

I dati di partenza

La filosofia della direttiva parte da un dato oggettivo: gli immobili consumano circa il 45% delle risorse energetiche dell’UE e sono responsabili del 36% delle emissioni di gas serra legate all’energia. Il 35% degli edifici dell’UE hanno più di 50 anni e quasi il 75% del parco immobiliare è inefficiente dal punto di vista energetico.

Questi i dati europei, ma la situazione italiana è ancora più grave, il nostro parco immobiliare è ancora più vecchio e inefficiente.

Oltre un quinto degli immobili italiani hanno più di cento anni (2.150.000, pari al 21%) e gli immobili costruiti negli ultimi 50 anni sono circa il 50 % dell’intero patrimonio edilizio del paese. Tra l’altro gli immobili più fatiscenti sono quelli utilizzati dalla popolazione più fragile (famiglie a basso reddito, anziani) che vive prevalentemente nelle periferie delle grandi città. Dal 1981 al 2020 (in quaranta anni quindi) si sono costruiti o integralmente ristrutturati appena 2.597.000 immobili pari al 25%.

Questi sono dati di estrema preoccupazione non solo per l’efficienza energetica degli edifici, ma soprattutto per la sicurezza i cui effetti sono ben visibili dai danni che conseguono ai non rari eventi naturali che si verificano (terremoti, alluvioni, frane ecc.).

La situazione energetica degli immobili e il Superbonus

Dal punto di vista energetico l’Italia ha un patrimonio immobiliare costruito prevalentemente negli anni antecedenti l’introduzione di norme dirette al risparmio energetico.

Gli edifici abitativi energivori (sotto la classe D) costituiscono il 76% del patrimonio immobiliare italiano, si tratta di 7.784.680 immobili.

Le norme del Superbonus, le peggiori in assoluto emanate nella storia italiana, hanno bruciato quasi 150 miliardi di euro per migliorare appena lo 0,6% degli edifici. Il Superbonus ha avuto come conseguenza effetti negativi: devastazione della finanza pubblica, aumento incontrollato dei prezzi, qualità scadente degli interventi, mancanza di programmazione ed è stato soprattutto un provvedimento fiscalmente regressivo.

I punti critici della direttiva

La direttiva, correttamente, richiama più volte nel testo, il principio per cui il livello di efficientamento energetico ottimale deve essere raggiunto in funzione dei costi sostenibili. È questo un principio realistico di politica economica in base al quale il risparmio del costo energetico, per tutta la vita utile dell’edificio, inclusi i lavori per ristrutturarlo, deve essere superiore al costo dell’efficientamento. Ma poi la direttiva prevede che entro il 2050 il 100% degli edifici sia ad emissione zero, senza indicare l’ammontare dei costi e soprattutto come finanziarli.

Andava lasciato un più ampio margine ai vari stati nel regolare i termini, i tempi e le modalità per il raggiungimento degli obbiettivi. Tra l’altro l’Italia è una nazione in cui le differenziazioni territoriali tra regione e regione, ma anche all’interno delle stesse regioni, sono enormi e in cui emerge dirompente il distacco nord-sud.

Dal punto di vista energetico e sociale sono incomprensibili le esenzioni concesse ad alcune tipologie di edifici (caserme, oratori, seconde case ecc.). Le norme sulle seconde case dimostrano una totale ignoranza dell’istituto condominiale e del fatto che in Italia ci sono tantissimi edifici di tale natura, la coesistenza di tipologie di prime case e seconde case rende impossibile deliberare in merito.

La flessibilità lasciata per garantire le diverse situazioni nazionali è solo una concessione apparente. Infatti i mancati risparmi su un tipo edificio (eventualmente escluso) dovrebbero comunque essere recuperati su altri edifici.

In base ai dati forniti da Enea il consumo energetico italiano, imputabile agli edifici, è di 470 TWh. Con i 150 miliardi usati per il Superbonus i consumi energetici negli edifici sono calati di appena 9 TWh. Una goccia nel mare. Se entro il 2030 sono da raggiungere gli obbiettivi indicati dalla direttiva, sulla base di quanto fatto con Superbonus, servono oltre 600 miliardi in 7 anni.

La proposta Appc

Abbiamo illustrato in varie sedi e in particolare nella sede di confronto ministeriale sul Piano Casa Nazionale la nostra proposta. Occorre aprire una stagione di recupero del patrimonio immobiliare esistente, un nuovo Piano Fanfani, realistico, praticabile, possibile, graduale, che coinvolga risorse private e preveda modifiche normative a costo zero. L’istituto condominiale va rivisto, occorre riconoscere la personalità giuridica al condominio, modificare i quorum deliberativi, modificare la norma sulla obbligatorietà del fondo prevedendone tra l’altro la sua segregazione. Occorre avviare un piano di prestiti generalizzati a tasso zero di lunghissimo periodo. La politica dei bonus fiscali è inutile e inapplicabile.

Ma un altro aspetto è stato sottovalutato, efficientare un patrimonio energetico in zone in cui la priorità è la sicurezza sismica è come costruire una casa sulla sabbia.

Ora sta al governo italiano e alle forze politiche capaci di avere una visione non ideologica e di parte, mettere in atto programmi ed interventi che colgano la necessità del risparmio energetico coniugandolo però con la fattibilità e la situazione reale del paese.

Non tutto quello che è razionale è reale, quello proposto con la direttiva non solo non è realistico, ma non è neppure razionalmente accettabile.

Vincenzo Vecchio Presidente Nazionale Appc

Immagine di freepik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA


nove − 1 =